martedì 30 settembre 2014

Salutare inquietudine appesa

"L’han veduta alcuni/ lasciare il quadro; in certi noviluni/
s’ode il suo passo lungo i corridoi..."

(Guido Gozzano, La Signorina Felicita)

L'ho ripescata dal fondo di un armadio nel quale non mettevo il naso da alcuni anni, e che col mio naso se l'è presa, scatenandomi una bella reazione allergica come non mi capitava da tempo.
Così, con gli occhi lucidi di raffreddore - e anche di altro - tra vecchi quaderni di scuola, cimeli degli scout, scatole di minerali e conchiglie e una cospicua parte della mia collezione di Topolino, srotolando un largo foglio di carta ingiallita, me la sono ritrovata tra le mani: la ragazzina dagli occhi senza pupille.
Me la ricordo da quando avevo, forse, quattro anni. Stava appesa sulla parete opposta al letto nella prima camera in cui abbia mai dormito da sola in un vero letto, che mi sembrava, ovviamente, grandissimo. Anche la stanza mi sembrava grandissima, ma non lo era, visto che faceva parte di una casa minuscola, ricavata dal piano superiore di quello che un tempo era stato un mulino, dai muri spessi e con il bagno in cortile. Ci ho passato le prime estati della mia vita in quella casa e credo di avervene già parlato. Forse vi ho anche già detto che, chissà per quale motivo, a quella casa, nella quale ho passato a malapena un mese nelle estati da 0 a 5 anni, sono legati i miei primi e più vividi ricordi.
E finché campo continuerò a chiedermi come e quanto questi ricordi abbiano influito su quella che sono oggi o, al contrario, se mi siano rimasti così impressi proprio perché già si sposavano con il mio (pessimo) carattere: praticamente è come disquisire dell'uovo e della gallina.
Comunque sia, in quella stanza arredata di poco o niente, mia madre, anima d'artista, aveva pensato di appendere il poster di un quadro di Modigliani. E io non ebbi mai il coraggio di dirle che quella strana ragazzina, che mi guardava con le iridi completamente azzurre, senza pupille, mi faceva paura. Ed era pure in buona compagnia!
Esattamente sopra la mia testa, infatti, stava un altro quadretto più piccolo: profili di barche e scogli dipinti a china su uno spesso cartoncino oblungo.
Vi garantisco che nelle notti di temporale, coi bagliori dei lampi che filtravano tra gli scuri malchiusi, era un'attimo che quelle innocue barche si trasformassero in galeoni zeppi di pirati sull'orlo del naufragio: uno spettacolo che io osservavo rannicchiata nel letto lungo troppe volte più di me, consapevole dello sguardo freddo e inquisitore dell'altra inquilina della stanza che, benché fosse semplicemente stampata su carta e appesa al muro con un paio di chiodini (ci sono ancora i segni sul foglio), non era per questo meno reale.
Se però v'immaginate che quelle fossero solo notti di incubi ad occhi aperti e sciocche paure infantili, riflettendoci ora, a distanza di oltre trent'anni, credo che vi sbagliate.
Se davvero quei quadri, messi in camera mia con le migliori intenzioni, mi avessero fatto solo paura, penso non avrei esitato a chiedere a mia madre di toglierli. Evidentemente c'era in loro anche qualcosa che mi affascinava. La ragazzina, dopotutto, era bella, di una bellezza mai vista nella vita reale e, a guardar bene, i suoi occhi non erano così inespressivi; al contrario, erano due pozzi profondi spalancati su quella che forse già allora sarebbe diventata una delle mie più consuete e longeve compagne di vita: l'inquietudine. Anche le barche, perfettamente immobili nel loro mare di carta, ma pronte ad animarsi di notte, erano, infondo, le proverbiali due facce della stessa medaglia. E la paura non era soltanto una cosa da cui tenersi al sicuro - come insegnano oggi ai bambini genitori falsamente apprensivi - ma una battaglia da affrontare nella fantasia, per poi provare a conviverci nella realtà.
La ragazza dagli occhi vuoti non era un mostro, così come non lo sono quelli che abitano comunemente sotto i letti e negli armadi dei bambini: era, semplicemente, una creatura estranea, magica e misteriosa, come la maggior parte del mondo visto con gli occhi di un bambino (e, ahimè, non solo di un bambino); era un modo di dar voce alla visione decisamente vaga e fantastica che avevamo del nostro passato e del nostro futuro. Accettarne la presenza, nelle notti tranquille in cui ci si spiava sospettose, ma non ostili, dai due capi della stanza, come in quelle agitate, nelle quali appariva decisamente minacciosa, era una magnifica avventura: un'esperienza decisamente più varia e stimolante che se avessi avuto appeso al muro il sorridente faccione di Peppa Pig, la quale, peraltro, ha la stessa prospettiva impossibile di certi ritratti di Picasso e, dunque, a qualche bambino pure lei potrebbe sembrare inquietante nonostante tutte le precauzioni dei genitori.
Sarà perché sono costretta a conviverci da una vita, ma l'inquietudine, quando non si trasforma in panico, ovviamente, non è solo un male: è un'indecifrabile amalgama di timore e speranza che mi fa stare sempre all'erta e, talvolta, mi permette di notare e di sentire cose che, forse, se fossi un tipo calmo e pacifico mi lascerei scorrere addosso senza goderne.
Accettare l'inquietudine con il supporto di una buona dose di fantasia è, quindi, una delle migliori lezioni apprese nella mia primissima infanzia. E di questo devo rendere grazie anche a lei, alla ragazza dagli occhi aperti su qualcosa che io non potevo vedere… non ancora.
Per questo, ora che l'ho ritrovata, l'ho srotolata con cautela e le ho sorriso con circospezione, ma con altrettanta dolcezza. E le ho promesso che le comprerò una cornice e le troverò un posto in camera mia, nella mia casa, sulla parete di fronte al mio letto esattamente come allora. E torneremo a guardarci nelle notti insonni, occhi marroni un po' miopi e occhi completamente e intensamente azzurri: non vuoti, ma spalancati e pronti per essere riempiti, senza mai colmarsi, di vita e di memoria.

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