venerdì 21 settembre 2012

Settembre, andiamo!

 “Settembre, andiamo! E’ tempo di  migrare.”
Così inizia una celebre poesia di D’Annunzio che ho studiato per la prima volta in quinta elementare (bei tempi!..). E’ settembre: i pastori d’Abruzzo, con il cuore carico di nostalgia per i focolari lasciati, migrano verso i pascoli pugliesi seguendo gli antichi sentieri dei padri. Il poeta, lontano dalla sua terra, ne condivide il rimpianto e vorrebbe essere con loro. L’ho citata perché ricalca un po’ il mio stato d’animo di questi giorni: settembre è arrivato, dopo il tramonto della torrida stagione estiva, portando, anzi riportando, con sé il mondo della scuola, i ritmi frenetici della vita lavorativa, la realtà di quella normalità che caratterizza l’esistenza di molte persone e che ha sempre caratterizzato anche la mia. Quindi niente di strano, ma questa volta l’alba della nuova stagione e il ritorno alla “normalità” hanno un sapore diverso. Un senso si curiosità, gioia, intraprendenza, voglia di rimettersi in gioco si scontra di continuo con una struggente nostalgia, una sensazione di rimpianto, di perdita di qualcosa che non tornerà più, che sta definitivamente per cambiare, che ha segnato profondamente la vita, ma che non sarà mai più così…E la curiosità, intrisa di stupore e meraviglia porta continuamente a chiedersi perché e “come ho fatto” a fare tutto, a non andare in crisi e a cavarmela, tutto sommato, bene..! Sarà perché nelle ultime quattro stagioni ho vissuto ciò che, nel bene e nel male, avevo prima tenuto lontano: attesa, nascita, distacco, perdita, lutto… E’ curioso, ma anche inquietante, notare che le parole che diceva l’infermiera quando visitava mia nonna nel letto di ospedale nei suoi ultimi giorni di vita (“la pressione va bene, il battito va bene”..) erano le stesse che mi diceva l’ostetrica in sala parto durante il mio travaglio… “La pressione va bene, il battito va bene”… Il battito di una nuova vita che sta per nascere, il battito di una vita che sta per spegnersi, ma fino all’ultimo batte… Veramente esiste un filo invisibile che lega morte e vita…Tutto ciò mi fa rabbrividire, ma anche restare in silenzio, immobile e incantata di fronte a questo grande Mistero..! Non ho mai creduto alla profezia Maya secondo cui nel 2012 dovrebbe finire il mondo, ma di certo parte del mio mondo sta finendo…o forse è un nuovo inizio! Chi può dirlo?!
Saluti “sproloquiati”

mercoledì 19 settembre 2012

Terra di Siena

Avete mai fatto caso a quanto sono belli i nomi che si trovano sui tubetti dei colori a tempera o a olio? Ci sono cose magnifiche come il blu di Prussia, il nero d'avorio, il bianco di titanio, il bruno Van Dyck, la lacca, il cinabro e la misteriosa "terra d'ombra". Poi ci sono le due "terre di Siena", naturale e bruciata: giallo dorata la prima, bruno rossastra la seconda. Sono molto usate e tutti, credo, ce le siamo trovate tra le mani (e a volte anche sulle mani, sulla faccia e sui vestiti) quando facevamo educazione artistica a scuola, ma viaggiarci dentro per due giorni è tutta un'altra faccenda...
Ancora una volta a caccia di luoghi sacri con la parrocchia dell'amica Francesca (non quella del nostro blog, sebbene anche lei sia stata, anni fa, mia presidentessa), che ogni volta, non si sa come, progettando l'itinerario, riesce ad azzeccare mete che desideravo vedere da una vita.
Quest'anno c'è riuscita con San Galgano, prodigioso scheletro di chiesa cistercense col cielo per soffitto, piantata tra i campi appena arati, e con Lucca, dove noi ciose è da un po' che meditiamo di andare senza mai riuscirci: l'abbiamo assaggiata il giorno dopo la festa dell'Esaltazione della Croce, con i resti delle luminarie ancora appesi alle facciate delle case e delle chiese e un immenso e affollato mercato dell'antiquariato, colmo di chincaglierie varie tra il malinconico e l'affascinante.
Il nostro percorso, infatti, ripercorreva un tratto di via Francigena, dalla Lunigiana fino a Siena, alla ricerca dei luoghi cari ai pellegrini: la pieve di Sorano, con le finestre dell'abside asimmetriche per acchiappare la luce d'oriente, il campanile, che serviva anche come torre di guardia e le statue-stele dell'età del bronzo reimpiegate come architravi; poi Lucca: San Frediano e il Duomo, che si contesero l'onore di ospitare il "Volto santo", un crocifisso decisamente orientale, con la tunica e gli occhi spalancati, che la tradizione - falsa, ma non per questo meno affascinante e significativa - vuole sia stato scolpito nientemeno che da Nicodemo.
In un pilastro sulla facciata del Duomo c'è un labirinto, forse fatto dai templari. A guardarlo viene da pensare che noi saremo pure avanzati e telematici, ma non ci riesce più di fare una cosa che ai nostri antenati riusciva benissimo anche se erano analfabeti: decifrare i simboli.
Il catino di piazza del Campo di sabato sera è pieno di gente accampata: pare piazzale della Pace senz'erba e in pendenza. Avvistiamo da lontano anche un corteo di contradaioli che cantano e sventolano bandiere e l'effetto Medioevo è assicurato. Anche le cameriere del ristorante dove ceniamo hanno vesti medievali, ma con le scarpe da tennis. La più loquace ci porta una ciotola di "ceci piccini del Chianti". Già così suona bene, ma provate a pronunciarlo con le c aspirate e vedrete che è notevole.
Dormiamo in una "casa per ritiri" appena fuori Siena gestita da suore in borghese. E' decisamente vintage: stanzette quasi tutte senza bagno con il lavandino in camera che paiono celle di convento. Nella sua Dani trova appeso alla parete un quadretto con un motto che invita a parlare poco e con giudizio. Chissà perché, leggendolo, mi prende una botta di vergogna.
Al mattino scopriamo che la casa è antica: era di una nobildonna che la donò alla chiesa. Sarà per l'aria un poco decadente o per l'orto che contende spazio al giardino, ma mi ricorda la "Vill'Amarena" di Gozzano, anche se dall'alto non si scorgono "Ivrea turrita e i colli di Montalto", ma tutta quanta Siena, che ha anch'essa il colore delle sue famose terre.
Il giorno dopo arriviamo a Sant'Antimo sfiorando Montalcino (l'intero pullman, compresa me, astemia, pensa al brunello). La pieve è un prodigio romanico in pietra bionda, onice e alabastro in una conca tra gli ulivi. La messa è in latino con canti gregoriani. No, tranquilli, il Vangelo e l'omelia sono in italiano, peccato che il sacerdote ultraottantenne che li pronuncia entrambi è francese e parla come il nonno di Poirot, mentre il giovane frate che fa da chierichetto ha la mano pesante con l'incenso, che sale a scenografiche volute illuminate dalla luce dorata che piove dalle finestrelle sopra i matronei.
Assieme a noi ci sono molti stranieri, forse turisti, ma forse no, visto che molti casali abbandonati nelle campagne toscane che tutto il mondo ci invidia (a ragione!) sono stati salvati da inglesi e tedeschi.
L'ultima tappa è Monte Oliveto Maggiore, casa madre dei benedettini olivetani, tra le cui fila si annoverano valenti pittori, incisori e architetti. Buona parte di ciò che vediamo è opera loro, comprese le tarsie del coro, talmente belle che Napoleone (ladro di buongusto) provò a portarsele via. Il complesso quattrocentesco è tutto in mattoni rossi fatti di argilla locale: ancora la terra!
Ci porta in giro una guida anzianotta e istrionica che si diverte moltissimo a raccontarci i dispetti che il Sodoma (un soprannome, una garanzia!), incaricato d'affrescare il chiostro, combinò ai frati dal braccino corto. Dani ha il sospetto che qualcosa s'inventi, ma lui sostiene di aver letto tutto nelle dettagliatissime cronache dell'epoca, più divertenti dei racconti di Boccaccio.
E' ora di rientrare. Prima di infilarci in autostrada ci godiamo ancora per un po' la vista di paesi circondati da mura, ulivi, cipressi e campi. La luce radente fa più scuri i solchi sinuosi lasciati dall'aratro: sembrano onde, e noi ci naufraghiamo dentro per benino nell'inevitabile abbiocco di fine viaggio...

lunedì 17 settembre 2012

Oh, oh. Mi è sembrato di vedere un lapsus!

E' quasi tutta la mattina che, per lavoro, mi studio pagina per pagina il sito di un ristorante-azienda agricola-relais delle nostre parti specializzato in salumi e carni cotte in varie maniere.
Si affaccia in ufficio il capo e mi chiede quel che sto facendo; glielo dico. Mi domanda, allora, se sono andata avanti con un altro progetto.
Disgraziatamente gli rispondo così: "Sì, ti ho girato le pagine venerdì. Le hai già GRIGLIATE?"
Ehm... guardate!
Buon lunedì a tutti.
Saluti storditi.

martedì 11 settembre 2012

L'abito fa il (quasi) prete

In verità io con una veste lunga addosso l'avevo già visto anni fa, peccato si trattasse di una camicia da notte di raso rosa che gli amici lo avevano costretto a indossare sopra il completo elegante il giorno della sua laurea. Quindi capirete che ritrovarmelo con la talare nuova di zecca, lunga fino ai piedi e stretta in vita da una larga fascia ("E' il modello ambrosiano!" puntualizza orgoglioso), mi ha fatto una certa impressione.
Il fatto è che io me lo ricordo ancora quando Chiara se lo trascinò dietro per un polso nel chiostro grande di Camaldoli e me lo presentò esclamando stupita: "Ma lo sai che non ha ancora compiuto ventun'anni?!" Io ne avevo già venticinque, lei ventiquattro, ma ci bastò poco per accorgerci che il ragazzetto sparuto che ci stava davanti aveva qualcosa di eccezionale.
E il sospetto di dove sarebbe andato a parare ci venne, credo, già dalle prime e-mail che ci scrisse, pericolosamente simili a omelie. Belle omelie.
Sono passati nove anni. Dopo due ore di messa solenne nel duomo di Milano gremito, lo avvisto tra la folla da stadio corsa a festeggiare lui e i suoi colleghi (merce rara i futuri preti, da coccolare con riguardo), che, terminato il primo ciclo di studi, sono stati appena ammessi al presbiterato e tra tre anni saranno ordinati: parla ad alta voce al telefono e dispensa sorrisi e manate all'urbi et orbi. Dopo le foto di rito ci precede a lunghe falcate dinoccolate: non fosse magrissimo e un poco curvo ne avrebbe del don Camillo.
Ripariamo in un bar per un brindisi e un saluto veloce: lo aspettano in parrocchia. E la prima cosa che ci viene da chiedergli è... se ha caldo, così nero sotto il sole di quest'ultima coda d'estate. Sì, ovviamente. Giura che questa tenuta è solo per i giorni speciali, per gli altri basterà il clergyman, ma è chiaro che, tutto sommato, ci si trova a suo agio e a guardarlo e ascoltarlo viene facile capire il senso della parola "vocazione".
Racconta della sua mattina un tantino concitata, delle valigie già pronte per passare al nuovo seminario, poi chiede a ciascuno come va. Infatti urgono ragguagli, perché più della metà delle persone che ha di fronte non si vedono e non lo vedono da tempo. E così, a questo quasi prete è già riuscito un piccolo miracolo.
Ritrovo i miei milanesi: Elisa, che dispensa buonsenso ed entusiasmo, Marco, galante per costituzione; poi Chiara di Brescia, sorridente e gentile come il suo nome, Maria di Bergamo, felice con fresco fidanzato al seguito e io, l'infiltrata emiliana, pecorella parecchio smarrita e sull'orlo della commozione.
Grazie anche di questo, allora, fratellino, e buon cammino!