martedì 11 gennaio 2011

"Un minuto di rivoluzione", ovvero il pendolo di Paolini

Che a me quest’uomo piaccia penso ormai sia chiaro anche ai lettori più distratti capitati in questo pollaio virtuale. In questa foto poi, che è sicuramente d’autore (col quale mi scuso per averla "presa in prestito" dal web), mi pare sia venuto particolarmente bene: è meno torvo e si vedono gli occhi azzurri. Che con quest’uomo alcune di noi abbiano un conto in sospeso dalla scorsa estate è anch’essa cosa arcinota (nel caso non lo sia, vedi post del 6 luglio 2010). Ebbene, ieri sera quel conto l’abbiamo saldato, sotto lo sguardo serio delle superstiti statue del monumento a Verdi, all’Arena del sole di Roccabianca: uno strano teatro dal palco disassato nella piazza di un paesino che più guareschiano non si può. Lo spettacolo era “Itis Galileo”: certo non uno dei suoi lavori più facili. Non è lieve e giocoso come l’infanzia raccontata ne “La macchina del capo”, è meno denso e commovente di “Vajont”, meno ricco di quella specie di viaggio poetico-letterario-musicale che è “Bestiario italiano”: forse il mio preferito, perché ha qualcosa del teatro canzone di Gaber, che ho avuto l’immensa gioia di vedere, un po’ per caso, dal vivo. Eppure non credo sia da tutti riuscire a costruire un bello spettacolo parlando da solo per due ore della vita di Galileo Galilei e di altri scienziati a lui contemporanei, di astronomia (e astrologia), di fisica, storia e filosofia con l’aiuto di pochissimi elementi di scena tra cui, appunto, un pendolo: un attrezzo di metallo che diventa, di volta in volta, strumento dello scienziato, mina pronta ad esplodere – e far danni – come le idee nuove ("le idee vecchie fanno sempre ridere... dopo; ma mentre ci si è in mezzo è difficile cavarsene fuori"); poi sfera celeste entro cui ruotano i pianeti e, infine, scomoda altalena – o palla psichedelica – sulla quale pare vacillare, oltre a Paolini, anche la nostra presunta modernità. Notevole l'attacco: entra in scena concentrato, scende dal palco e dice soltanto: "Un minuto di rivoluzione". Silenzio, e poi "Bravi: avete percorso 1800 chilometri". Con quattro parole il nostro ha introdotto l'argomento della serata, scardinando una frase fatta (un minuto di silenzio) e trasformandola in qualcosa di nuovo: cos'è un minuto di rivoluzione? Un minuto del moto della Terra di cui non ci rendiamo conto, certo, ma rivoluzione è un termine quanto mai evocativo. Che si fa in un minuto di rivoluzione? Ci chiediamo noi spettatori, incerti su dove voglia andare a parare. E intanto ci ha già presi e forse proprio il silenzio, nella società della comunicazione, ha in sé qualcosa di rivoluzionario... Insomma, è difficile trovare qualcun'altro capace di avvincerti persino parlando di economia, di rugby o di scienza come riesce a fare lui. No, beh, io almeno un paio ne conosco e, come sapete, anche loro mi piacciono parecchio: Piero e Alberto Angela. Però non ce li vedo a recitare Shakespeare (contemporaneo di Galileo) e un brano del "Dialogo sopra i massimi sistemi" entrambi in lingua madre - la sua lingua madre: il dialetto veneto! - con la perizia consumata del teatrante, quale infondo Marco Paolini è e rimane. Per fortuna. Dunque un grazie, un applauso e, speriamo, alla prossima!
Ah, per la cronaca: stavolta pioveva, ma con garbo. E, visti i precedenti, direi che c’è andata di lusso…

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